giovedì 20 maggio 2010

Lambri Stefano fa rinascere il Sanfioranetto


Lambri Stefano fa rinascere il “Sanfioranetto”

San Fiorano, 9 maggio 2010

Oggi, 9 maggio 2010 è rinato il Sanfioranetto

Il progetto afferma Lambri, ha tratto spunto dalla consapevolezza originatasi in una riunione presso la provincia di Lodi nel 2005, quando venne presentato il disciplinare Lodigiano Terra Buona. Il lodigiano poteva vantare la presenza di alcuni salumi, prodotto di tradizione radicata nelle campagne dove numerosi norcini hanno sempre operato, ma la trasformazione e la conservazione delle carni non ha mai portato a tipicizzare un prodotto particolare che richiamasse il territorio. In varie riunioni successive Lambri aveva menzionato il salame “Sanfioranetto” come tipico esempio di prodotto in possesso di tutte quelle caratteristiche (legame col territorio, storia, tradizione ed antica ed apprezzata qualità e notorietà) che sono alla base di una potenziale richiesta di riconoscimento o certificazione.
Ecco allora l’opportunità di far diventare realtà un piccolo sogno: “Far rinascere il Sanfioranetto”.
Lambri ricorda di aver sentito parlare per la prima volta del Sanfioranetto nel 1985 dal dr Luigi Barbaini, con il quale aveva all’epoca condiviso molte esperienze di lavoro.
La storia del Sanfioranetto è giunta, nel novembre scorso, all’orecchio di Paola Vailati Riboni, titolare con il marito di un Agriturismo a Terranova dei Passerini, che ha valorizzato l’idea ed il lavoro di Stefano Lambri. La Vailati ha presentato un progetto, promosso dalla Regione Lombardia, per il recupero e la riqualificazione a livello europeo di prodotti dotati degli stessi requisiti che la ricerca di Lambri ha fatto ritornare alla luce per il Sanfioranetto. La Vailati ha annunciato a San Fiorano che il progetto ha ottenuto un primo significativo successo che fa ben sperare. Lambri oggi ha illustrato ai suoi concittadini un centinaio di slide con documenti che testimoniano tutti i passaggi storici descritti nel disciplinare e le testimonianze viventi di alcuni protagonisti della storia recente. Il clima che si è creato ha avuto un risvolto nostalgico dato dalla presenza in sala di numerosi ex dipendenti del “Salumificio” che hanno arricchito la storia ufficiale con ricordi, aneddoti e curiosità inediti.
Per poter far rinascere un salame naturalmente non basta la ricerca storica, è necessaria la disponibilità di un produttore. Lambri ha presentato sul palco del Teatro di San Fiorano Pierangelo Lodigiani quale titolare, con il fratello Emilio, di un’azienda agricola con annessi allevamento, macello e salumificio. L’azienda è stata scelta, dice Lambri, per i suoi dimostrati requisiti di competenza, serietà e passione, quindi affidabile per far fare bella figura al nuovo “Sanfioranetto”
I fratelli Lodigiani hanno condiviso l’idea di Lambri ed insieme sono partiti per quell’avventura che potrebbe arrivare lontano. Dopo una descrizione della loro attività, i Lodigiani hanno offerto una degustazione gratuita del Sanfioranetto che, dato il successo, ha costretto i produttori a fare un nuovo rifornimento per soddisfare il palato dei partecipanti.
Lambri e Lodigiani hanno ufficializzato il Sanfioranetto con la deposizione del Marchio, verbale e figurativo, presso la Camera di Commercio di Lodi. Il Marchio in comproprietà al 50 % di Lambri e Lodigiani da la garanzia ai due depositanti che il nome Sanfioranetto possa essere utilizzato in esclusiva per i prodotti inseriti nella classe specifica richiesta per il riconoscimento e rende perseguibili legalmente tutti coloro che intendano sfruttarlo sotto qualsiasi forma. Anche questa è una garanzia per la salvaguardia di un prodotto del quale si intende mantenere gelosamente il possesso oltre alla tipicità e la tradizione.




Ecco qui la storia ufficiale che è parte integrante dell’Art. 1 articolo del disciplinare.

La bassa lodigiana é confinante a sud con il corso naturale del fiume Po, ad ovest con il Lambro e ad est con l’Adda.
Fu in antichità una zona paludosa, ne è testimonianza storica la presenza del lago Barilli o Lambrello, che era situato nella bassa di San Fiorano.
A San Fiorano transitava anche un ramo del fiume Lambro che era utilizzato per il transito di barche provenienti dal Po, per il trasporto di sale verso Milano. Il Lambro, poi deviato più ad ovest, si collocava nel corso ora occupato dal canale Mortizza.
La zona boschiva ed acquitrinosa si adattava perfettamente ad attività di caccia e di pesca.
Nel tempo opere di bonifica, sono state effettuate dai monaci Benedettini e successivamente dai Cistercensi. La loro presenza sul territorio è testimoniata dai resti di un’Abbazia, costruita nell’anno 1009, nel territorio del Borgo allora denominato Santo Stefano al Corno, ora comune di Santo Stefano Lodigiano. Le bonifiche, che hanno consentito di recuperare e di rendere coltivabili i terreni, hanno ottenuto come naturale conseguenza il passaggio alla coltivazione di foraggi e cereali e l’allevamento di bestiame. Prima pecore e capre poi bovini e suini. Tracce storiche dell’allevamento suino si ritrovano in denominazioni di luoghi utilizzati allora per tale scopo. Un esempio è la località “Morti della Porchera” al confine con il fiume Po nel territorio di Corno Giovine. Qui si trova un sacello a ricordo di un cimitero dove furono sepolti i defunti di un conflitto, avvenuto nel 1745, tra soldati Austro Ungarici e Spagnoli. Si dice abbia preso la denominazione da un precedente insediamento di allevamento di maiali o dal nome di un percorso utilizzato per condurre i maiali al pascolo sulle rive del Po. Nei tempi più recenti, la suinicoltura si è sviluppata nella bassa lodigiana come complemento ad allevamenti di vacche da latte con adibiti caseifici, al fine di sfruttare lo scarto di lavorazione dei formaggi, il siero, come alimento a costo zero e di ottima qualità. A San Fiorano, nella prima metà dell’ottocento, Carlo Polenghi, da allevatore di vacche da latte, iniziò a trasformare i suoi prodotti in una latteria locale. Il siero si utilizzò per un allevamento di suini, che ai tempi raggiunse i 400 capi. I maiali erano poi macellati e trasformati in loco. Carlo, fondò a San Fiorano, a metà dell’ottocento, la prima latteria industriale Polenghi che poi si fuse con la Zazzera di Codogno. Nel 1871 i fratelli Pietro e Paolo Polenghi fondarono, attraverso l’accordo con l’imprenditore emiliano Lombardo, l’ancora oggi famosa Polenghi Lombardo. Nel 1928 un piccolo macello già esistente lasciò spazio ad un nuovo stabilimento di dimensioni industriali: il Salumificio Polenghi. La tradizione della norcineria locale mise a disposizione della “Polenghi” l’esperienza acquisita. Tradizione esperienza e qualità arricchirono e diedero lustro a prodotti industriali che ben presto diventarono famosi ed apprezzati a livello nazionale. Tra i prodotti migliori ci fu sicuramente il Sanfioranetto che divenne uno dei salumi più famosi. Il Sanfioranetto salame di ridotte dimensioni e adatto al consumo dopo una media stagionatura, ebbe un immediato successo sia per la sua piccola pezzatura, 300/400 grammi, che consentiva un consumo veloce sia per il conseguente modesto costo. La notorietà del prodotto valicò i confini nazionali. La Polenghi Lombardo Società di Esportazione lo esportò con successo prima nella sua filiale di Londra poi in altri paesi europei ed infine oltrepassò l’oceano approdando in Brasile. Per l’esportazione il prodotto era confezionato in una scatola della quale abbiamo ancora oggi un esemplare originale. Il Salumificio chiuse i battenti nel 1970, ma la scuola di norcineria praticata nello stabilimento dagli abitanti locali, permise ai lavoratori del macello di acquisire fama nei dintorni. I più bravi divennero punti di riferimento in salumifici della vicina Emilia nel lodigiano e nel milanese. Altri continuarono la loro attività, nei mesi invernali, per la trasformazione in salami dei maiali che allora ed in qualche caso ancora oggi sono allevati per consumo familiare. Ai nostri giorni, Stefano Lambri un sanfioranino maestro assaggiatore Onas, con l’idea di richiamare l’antica e florida attività e per non far disperdere la tradizione del suo Paese, avvalendosi dei ricordi di nostalgici norcini e della passione dei fratelli Lodigiani, competenti allevatori e macellatori locali, ha voluto far rinascere il “Sanfioranetto.
Il primo ed unico prodotto tipico della salumeria lodigiana, di “nuova generazione”, con una chiara inequivocabile denominazione ed un’antica documentata storia e tradizione.



Disciplinare di produzione del “Sanfioranetto”

• Art.1
Denominazione e storia

La Denominazione ”Sanfioranetto” è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Le caratteristiche organolettiche e merceologiche dipendono da particolari metodi della tecnica di produzione e dalle condizioni proprie dell’ambiente di produzione.

• Art.2
Zona di produzione

Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del “Sanfioranetto” devono essere situati nel territorio della provincia di Lodi.
I suini nati, allevati e macellati nella provincia di Lodi devono essere conformi alle già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione d'origine di Parma e San Daniele.
Gli allevamenti devono, infatti, attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze e metodologia di allevamento.

• Art. 3
Prescrizioni produttive e documentazione

I suini alla macellazione devono essere di peso non inferiore ai 200 kg e con un’età minima di dodici mesi. L’alimentazione deve provenire per almeno il 40% dalla produzione aziendale. La zona di elaborazione del “Sanfioranetto” comprende l'intero territorio della provincia di Lodi.
Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il documento del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli sono eseguiti direttamente da personale dell’Associazione Provinciale Allevatori di competenza
territoriale.

• Art. 4
Materie prime

Il “Sanfioranetto” deriva da materie prime appartenenti a suini che corrispondono alle caratteristiche degli art. 2 e 3.
La percentuale massima di tagli grassi utilizzabile è del 20% in funzione della parte magra utilizzata. I tagli magri di carne che possono essere impiegati sono: spalla, coscia, lonza, filetto, coppa opportunamente snervata, parte magra della pancetta, triti di prima qualità. Il grasso da impiegare è esclusivamente quello del guanciale, della testata di spalla, del culatello e lardello. E’ escluso l’utilizzo di carne congelata.


• Art. 5
Metodo di elaborazione

Le carni suine fresche, magre e grasse, sono ridotte in piccole porzioni e poi passate al tritacarne con stampo a fori da 5 a 6 mm di diametro. E’ vietato l’utilizzo di prodotti contenenti glutine e di derivati del latte. Il budello da impiegarsi per l’insaccato deve essere naturale (torto bovino) ed il prodotto ottenuto deve essere legato a mano, con spago bianco, alle due estremità.
La pasta di salame così ottenuta è poi condita con la miscela che rispetta le seguenti dosi per 100 kg di carne fresca:
- cloruro di sodio: min 2 kg ; max 2,5 kg;
- nitrato di potassio (E252): max 30 g;
- nitrito di sodio (E250): max 15 gr;
- aglio e vino: aglio (da 5 a 15 gr), vino bianco o rosso (da 0,1 a 0,5 litri);
- saccarosio: max 300 gr;
- spezie e aromi naturali.
Seguono poi l'impasto e l'insacco in budello. Infine il salame, legato con spago bianco alle due estremità, è poi forato e sottoposto ad asciugatura in ambienti aventi una temperatura compresa tra 14 e 25 °C ed umidità relativa compresa tra il 60 ed il 80%.

• Art. 6
Stagionatura

La stagionatura del “Sanfioranetto” avviene in ambienti aventi una temperatura compresa tra 10 e 18°C ed un’umidità relativa di 70-90% per un periodo non inferiore trenta giorni. L’etichetta deve essere apposta sul salame dal produttore entro la fine della fase di asciugatura e deve corrispondere alla data di produzione. Durante la stagionatura è consentita la ventilazione, l'esposizione alla luce ed all’umidità naturale, tenuto conto dei fattori climatici presenti in luogo.


• Art. 7
Caratteristiche

Il “Sanfioranetto” all'atto dell’immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche organolettiche e chimico fisiche:

Caratteristiche organolettiche:
- aspetto esterno: forma cilindrica con diametro massimo di 5 cm leggermente ricurva, ricoperto da un accenno di muffe bianco grigiastre, lunghezza da 20 a 30 cm con peso variabile non superiore a 400 gr.;
- consistenza al tatto: elastica;
- aspetto al taglio: fetta con distribuzione e dimensione lardelli uniforme, colore della parte magra rosso vivo, parte grassa con lardelli di colore bianco latte;
- aroma: stuzzicante, con caratteristica speziatura delicata;
- sapore: dolce e delicato;
- odore: con leggero, ma persistente sentore di aglio e spezie.
caratteristiche chimico fisiche:


Proteine totali% min 23 max 33 Umidità % min 27 max 50
Grassi% min 15 max 30 Sale% min 2 max 4 Ceneri% min 4
max 6,5 Collagene% min 0,5 max 3,5 PH min 5,2 max 5,5


• Art. 8
Commercializzazione

Il “Sanfioranetto” può essere commercializzato sciolto o confezionato, com'era in origine, in un’apposita scatola riportante la denominazione “Sanfioranetto” e la ragione sociale dell l’azienda produttrice. Può essere venduto a peso od a pezzo. Le operazioni di confezionamento, devono avvenire nel luogo di produzione.

• Art. 9
Controlli

Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto dall’Associazione Provinciale Allevatori di competenza territoriale.

• Art. 10
Designazione e presentazione

La designazione "Sanfioranetto" scritta in corsivo, di colore nero nelle prime tre lettere e rosso nelle successive, deve essere indicata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta. Sull’ etichetta deve comparire il nome del produttore, la denominazione Sanfioranetto, gli ingredienti e la data di produzione. E’vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che fanno riferimento a nomi, ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente e l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui derivano i suini utilizzati, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti.

venerdì 30 aprile 2010

Pro Loco San Fiorano

e


Azienda agricola Lodigiani F.lli


organizzano


domenica 9 maggio 2010

alle ore 17.00


presso il


Teatro di San Fiorano (Lodi)


la presentazione del


Sanfioranetto



relatori: Stefano Lambri, Paola Vaialti Riboni,

F.lli Lodigiani



Seguirà degustazione

domenica 4 aprile 2010

IL MAIALE DELLA NEVE: LA RAZZA SPOTTED POLAND CHINA (Spot)





La razza spotted poland china ha le sue origini dalla poland china.


Si differenzia per il colore del mantello.


La poland china ha mantello di color nero giaietto perfetto, generalmente alto calzato, con qualche macchia di bianco sul corpo; grugno bianco limitato a cono. La spotted poland china ha mantello bianco almeno per il 50% con macchie nere, per cui può dirsi bianco a macchie nere.


La razza è originaria della Miami – Walley, contea di Butler dello Stato di Ohio e risale ai primi anni del XIX secolo.


L’origine non è ben accertata, anzi è controversa. Quella più attendibile, e che è riportata dal Lippincott’s Farm Manual Production Swine Husbandry, sarebbe la seguente: anteriormente al 1816, la Società Shakiers of Union Villane importò nella contea di Warren un verro e tre scrofe da Filadefia, che presentò a Shakiers come puro sangue cinese e che perciò chiamò large china. Pare che il verro e due scrofe fossero interamente bianchi e la terza scrofa bianca con macchie rosse e nere. Avevano media statura e osso sottile ed erano buoni utilizzatori di foraggio. I large china e i loro discendenti furono sovrapposti con successo ai maiali indigeni ed il prodotto fu conosciuto sotto il nome di Warren – County – hog (porco della contea di Warren). Questo maiale in seguito subì nuovi miglioramenti per l’avvenuta introduzione di altri porci cinesi più grandi, ma di tipo ancor più fino e per l’importazione di berkshires nel 1835 o 1836 e verso il 1840 dell’irish grazier.


Quest’ultima era una razza bianca di meriti eccezionali, che alcuni chiamavano razza poland, forse perché si riteneva oriunda della Polonia.


Siccome tutti ammettevano questa origine e d’altra parte vi era chi sosteneva che i prodotti discendenti da tutti questi incroci dovessero chiamarsi poland china, perché uno degli allevatori che più si distinse nel miglioramento dei porci nella contea di Warren era polacco, venne nominata una Commissione che esprimesse il suo parere. Nelle sue conclusioni, presentate ad Indianapolis nel 1872 alla National Swine Breeder’s Convention, raccomandò che, qualunque fosse l’etimologia del nome, la razza della contea di Warren fosse riconosciuta col nome ufficiale di poland china. Che un nome qualunque fosse dato alla razza era più che giusto, poiché fin dal 1845 nessun’altra immissione di sangue era avvenuta: erano quindi 27 anni che la razza aveva cominciato il suo cammino di ascesa.


L’antico tipo era più largo, più raccolto e più ossuto di quello che durò fino fino all’inizio del 1914, allorchè gli allevatori erano andati verso il berkshire riducendo l’osso e selezionando la finezza, fino a cadere in una statura limitata e in limitata fecondità. Essi non avevano tutte le colpe, perché era stabilito che il poland china fosse plasmato sul tipo ideale del maiale da grasso e da sego. Dal 1914 le cose si sono cambiate. Si sono prefissati alcuni obiettivi: 1° il poland china, pur essendo un maiale che ingrassi con la massima facilità, desse carne più soda, meno grassa e segosa ed avesse una mole più grande, 2° che fosse più atto all’allevamento campestre, incomparabilmente più economico e più produttivo. In altri termini prima si chiedeva estrema finezza, ora estreme dimensioni. Mentre si sono sempre selezionati due prototipi di maiale, da una parte, il maiale da grasso e sego, e dall’altra il maiale da prosciutto e carne, ci si è indirizzati, nel dopoguerra, verso un maiale che rispondesse alle esigenze del mercato di quel periodo.


In Italia la razza poland china sembra sia stata introdotta nei primi anni del novecento ed incrociata con la casertana e con lo yorkshire.


Notizie più recenti di importazioni dagli Stati Uniti, di animali di razza spotted poland china, risalgono ai primi anni “60. La provincia maggiormente interessata è stata certamente Modena, ma anche nel lodigiano si ebbe una buona diffusione.


Fu utilizzata negli allevamenti all’aperto perché risultava una razza rustica, molto resistente al freddo in inverno e poco colpita dalle scottature solari in estate. Esistono foto che ritraggono le scrofe spotted, nei nostri allevamenti all’aperto d’inverno, mentre passeggiano tranquillamente con la loro prole nei campi coperti di neve.


Negli ultimi anni della sua presenza in numeri consistenti, la spot (così è stata ridefinita in Italia) è stata utilizzata in provincia di Modena (in circa 5/6 allevamenti) per produrre la linea femminile incrociata con la large white ed utilizzando come finale il landrace belga. Si producevano, con questo sistema, maiali da macelleria con un peso di circa 140 chilogrammi. Con l’introduzione del Disciplinare di Produzione del Parma e San Daniele questo tipo di produzione si può dire scomparso.


Nella nostra provincia lo spot era utilizzato in linea femminile incrociato con la landrace e finito con la large white (az. Ravizzini) arrivando a produrre suini con un peso di circa 160 chilogrammi.


Il Lodigiano può vantare, senza ombra di dubbio, di aver avuto il miglior selezionatore italiano della razza spotted poland china.


Samarati Marcello, figura storica della selezione nazionale, ha gestito dai primi anni sessanta alla fine degli anni novanta due allevamenti, uno a Borgo San Giovanni e l’altro a Valera Fratta. Ha partecipato ad innumerevoli Manifestazioni collezionando i più ambiti premi anche alla Rassegna Suinicola Internazionale di Reggio Emilia.


Da qualche anno la spot è entrata a far parte delle razze a limitata diffusione del Registro Anagrafico. Gli allevamenti iscritti all’A.N.A.S. oggi sono due: l’az. Bergamaschi di Modena e l’az. Cornalba di Lodi.


La Spot però non è una razza autoctona per cui non rientra nel progetto di conservazione finanziato dallo Stato. Anche l’ANAS non ci può dare una mano.


Il dottor Cornalba Giuseppe ha il merito di aver ripreso e mantenuto vivo l’interesse per la spot impedendone l’estinzione. Il suo compito non è facile, soprattutto perché diventa sempre più difficile reperire linee nuove per il rinsanguamento. Sarebbe un peccato perdere una razza che, per gli appassionati oltre che esteticamente affascinante mantiene quelle caratteristiche di rusticità e di resistenza alle malattie che tanto si vanno ricercando…







…ma veniamo alla storia di oggi (marzo 2009) !



L’azienda Cornalba, per ragioni contrattuali con una nuova soccida, deve chiudere l’allevamento e per la razza Spot sembra la fine. A questo punto l’unico allevamento esistente in Italia è quello dell’azienda Bergamaschi di Modena. In tutto, tra l’az Cornalba e l’azienda Bergamaschi, abbiamo 10 scrofe, 1 verro adulto ed una covata di suinetti tra i quali 2 maschi. Da ulteriori ricerche, anche in collaborazione con la Drssa Pizzi del Parco Tecnologico Padano, scopriamo che non esisterebbero neanche negli USA altri soggetti di questa razza.


Faccio appello a Paolo Migliorini che pubblica un articolo su “Il Cittadino”. Dimostra sensibilità anche Caterina Belloni, redattrice dello stesso giornale, che scrive un coinvolgente articolo sul Corriere della Sera.


A questo punto arrivano in Associazione telefonate di allevatori che si dimostrano interessati a darci una mano.


Alla fine, fra tante promesse, ci sono due allevatori: Chierico Luigi Antonio di Pavia e Rinaldi Michelangelo di San Zenone al Lambro che passano ai fatti ritirando gli animali di Cornalba Giuseppe.


L’azienda Bergamaschi di Modena, informata di questa situazione critica, pur cessando l’attività d’allevamento decide di mantenere in azienda il nucleo di Spot.


Mi rivolgo al Parco Tecnologico Padano ed in particolare alla Dottssa Flavia Pizzi con la quale ci accordiamo per congelare il seme dell’unico maschio adulto rimasto, e costituire così una “banca del seme Spot”.


Il verro adulto c’è, ma le difficoltà di prelevargli il seme esistono. Speriamo bene !


Abbiamo fatto dei passi avanti e se tutto andrà bene il “maiale della neve” non rischierà la prospettata estinzione !


Nel mese di dicembre ho ricevuto una telefonata dal Dr Taschini Direttore del centro inseminazione artificiale (Semenitaly) di Modena che ha avuto notizia di presenza di seme congelato di razza Spot negli USA.


Smentita la notizia della presenza di verri Spot in un centro di Inseminazione Artificiale negli USA. Si trattava di verri di razza Old Spot e non Spotted Poland ! Anche l’azienda Bergamaschi di Modena chiude e non mantiene la promessa di mantenere in vita il suo nucleo.


Giuseppe Cornalba arriva ancora in nostro soccorso.


Ha ritrovato un verro che aveva venduto qualche anno fa ad un agriturismo piacentino. Ho chiesto aiuto al Centro Tori di Zorlesco e proveremo a fare un prelievo di seme per verificare se sarà congelabile.


Aspettiamo il bel tempo per agire…


Ricerca a cura di Lambri Stefano (Associazione Provinciale Allevatori Milano – Lodi)






martedì 23 marzo 2010

Presentazioni del Sanfioranetto:
21 marzo 2010 Fiera di Brembio - LO -
11 Aprile 2010 Fiera di Senna Lodigiana - LO -
18 Aprile 2010 Fiera di San Colombano al Lambro - MI -
09 Maggio 2010 Sagra di San Fiorano - LO -
21 Maggio 2010 Manifestazione ONAS Fossano - CN -

sabato 13 marzo 2010

il marchio il produttore e gli ingredienti

Il gruppo Maestri Assaggiatori della delegazione di Lodi stamattina ha degustato il Sanfioranetto presso l'azienda agricola F.lli Lodigiani e l'ha promosso a pieni voti con questa descrizione finale approvata da tutti: aspetto esterno con piumatura bianco grigiastra ben distribuita, budello con perfetta umidità, facile pelatura e gradevole odore di cantina, aspetto della fetta omogeneo con colore del magro rosso vivo e colore del grasso bianco latte, distribuzione dei lardelli omogenea, aromi ed odori di spezie ben equilibrati con leggero e piacevole sentore di aglio, gusto dolce e raffinato, palatabilità con ottime sensazioni di masticabilità, scioglievolezza e generale equibrio degli aspetti aromatici, di odori e di gusto.

Da oggi 13 marzo 2010 il Sanfioranetto è in vendita presso l'azienda produttrice:
F.lli Lodigiani c.na Resmina Santo Stefano Lodigiano (Lodi)
Supermercato Di Meglio piazza Roma San Fiorano (Lodi)

Si può degustare il tagliere di Sanfioranetto presso l'Arci piazza degli Orti a San Fiorano (Lodi)


Buon appetito !

domenica 7 marzo 2010

Rinasce il Sanfioranetto

La bassa lodigiana confinante a sud con il “grande fiume”, era in antichità zona acquitrinosa, testimone l’antica presenza a San Fiorano del lago Barilli.
Nel tempo il territorio subì opere di bonifica da parte di monaci Benedettini e Cistercensi, residenti in un’ antica Abbazia della quale rimangono ruderi nel comune di Santo Stefano.
Il prosciugamento dell’area permise il passaggio alla coltivazione ed all’allevamento. Tracce storiche dei suini si ritrovano in denominazioni di luoghi come la “Località Morti della Porchera”, che assunse il nome da un percorso utilizzato per condurre i maiali al pascolo.
Pietro e Paolo Polenghi, alla fine dell’800, fondarono a San Fiorano la prima latteria industriale, l’ancora oggi famosa Polenghi Lombardo.
Nel 1928 nacque il Salumificio.
Tradizione ed esperienza, diedero lustro a prodotti ricercati ed apprezzati. Tra i migliori ci fu il “Sanfioranetto”, esportato a Londra ed in numerosi altri paesi europei.
Il Salumificio chiuse nel 1970, ma la scuola di norcineria mantenne la sua fama.
L’ attività artigianale continuò nelle cascine dove i maiali venivano allevati per consumo familiare.
Ai nostri giorni, Stefano Lambri un sanfioranino maestro assaggiatore, con l’idea di richiamare l’antica e florida attività e tradizione del suo Paese, avvalendosi dei ricordi di anziani norcini e della passione di competenti allevatori e macellatori locali ha voluto far rinascere il “Sanfioranetto”.
Il primo ed unico prodotto tipico della salumeria lodigiana, di “nuova generazione”, con una chiara inequivocabile denominazione ed un’antica documentata tradizione.